L’uomo ha sempre guardato ben oltre di quanto l’occhio
potesse permettergli, fin dagli albori della fantascienza la meta più acclamata
è sempre stata la luna.
Lo dimostra una delle pellicole più famose nella storia del
cinema, se non la più.
Era il 1902 quando George Melies mostrò al mondo il suo Viaggio sulla Luna, dove quest’ultima
viene rappresentata in modo visionario e quanto mai lontano dalla realtà
effettiva.
Da allora il genere della fantascienza ci ha regalato
visioni e immagini dal futuro, dando sfogo alla creatività di artisti
concettuali che hanno aiutato sicuramente gli inventori di oggi.
Molto è stato detto sulla luna, così tanto che l’uomo è
andato oltre, l’uomo ha scoperto altre galassie ed esplorato i buchi neri.
Per questo una recente pellicola ha catturato la mia attenzione,
perché a distanza di quasi cento anni dal film di Melies si è tornato ancora a
parlare della luna.
Il titolo del film in questione è Moon, diretto da Duncan Jones e presentato al Sundance Film
Festival nel gennaio del 2009.
La visione di Moon
non è molto lontana da una previsione del mondo futuro, alla costante ricerca
di fonti di energia alternative.
La soluzione nell’universo di Moon proviene dall’estrazione dell’Elio-3 dal suolo lunare, in grado
di soddisfare il fabbisogno energetico del 70% del pianeta.
A permettere ciò è un solo uomo, Sam Bell, interpretato
magistralmente da Sam Rockwell. L’unico uomo sulla luna è in compagnia di un
robot di nome GERTY, che ricorda un po’ l’odissea di Kubrick e a cui Kevin
Spacey da la voce. Il compito di Sam Bell è quello di inviare l’Elio-3 alla
terra dalla base situata nel lato oscuro della luna, il suo turno di tre anni è
quasi terminato e non vede l’ora di tornare a casa per riabbracciare sua
moglie. Un inizio classico per quei film che hanno voglia di stravolgere, di
mettere in discussione ogni elemento, ed è esattamente ciò che fa Moon.
Sam Bell ha un incidente durante una normale procedura di
routine e si risveglia in infermeria, non è più lo stesso Sam Bell di prima.
Così Moon si mette
in discussione, e tutto ciò che sembrava certezza inizia a vacillare, come la
fiducia verso la premurosa macchina di nome GERTY che riesce a comunicare solo
attraverso simpatici (e ambigui) smiley.
Le comunicazioni in diretta con la
terra sono impossibili a causa di un guasto ad un satellite, e Sam Bell smette
di credere a quelle che inizialmente sembravano verità, il suo desiderio di
risposte è così ossessivo che molto presto si ritrova a confrontarsi con se
stesso, forse più materialmente di quanto le parole possano spiegare. I ritmi
sono scanditi dalla musica di Clint Mansell, e nonostante il cast consista nel
solo Sam Rockwell, Moon si dimostra essere
un film dal basso budget che non cade nelle classiche pause da introspezione
del personaggio, qualcosa che uno spettatore del sabato di pioggia assolutamente
non apprezzerebbe. Nonostante si noti la differenza tra la pellicola di Duncan
Jones e le grandi produzioni dei blockbuster della stagione, Moon è un film che fa ragionare. Non vuole
solo giocare con le illusioni della mente umana, ma mostra una probabile
proiezione di un futuro non troppo lontano, in cui l’uomo cerca la soluzione
dei propri problemi guardando in cielo, senza in realtà cambiare il proprio
approccio allo sfruttamento delle risorse.
La fotocopia fantascientifica di ciò che in realtà già
succede in ogni angolo del mondo, dove ogni uomo sfruttato è solo, tagliato fuori
dalla sua vita, con i propri diritti asportati a favore del guadagno di
qualcuno. Moon è proprio nella nostra
testa e Sam Bell, come chiunque, ha smesso di crederci.
Davvero davvero bello, Jones si dimostra talentuoso come il padre. Che poi questo film esce vent'anni esatti dopo "Space oddity"!
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